Edoardo Leo al Teatro Brancaccio con TI RACCONTO UNA STORIA
di Simona Rubeis
È un caloroso abbraccio rassicurante e confrontante questo spettacolo che rivela anse e rivoli dell’arte della narrazione nelle sue molteplici sfaccettature. Spassoso, commovente, intelligente, è un lavoro apparentemente concepito come una chiacchierata informale che nasconde però un talento vero per l’affabulazione.
Nell’ultimo scorcio di stagione del 2024, il Teatro Brancaccio ha aperto le porte al reading di Edoardo Leo, «Ti racconto una storia», che proprio a Roma chiude la lunga tournée che lo ha portato in giro per le platee di tutta Italia.
Il testo è dotato di mille sfumature: è comico ma ha venature poetiche, è delicato anche se mantiene tratti accessi e sfrontati, è spassoso pur invitando gli astanti a compiere delle riflessioni su piccole grandi verità che, in un modo o nell’altro, tutti sperimentiamo senza averne consapevolezza.
È suggestivo, è leggero.
Ed Edoardo Leo occupa e domina lo spazio della struttura di via Merulana arredato di lavagne ed una infinità di testi, con padronanza, leggerezza, maestria. Al suo fianco, il maestro Jonis Bashir che sottolinea i vari passaggi scenici tratti, quantomeno da un punto di vista simbolico, dal “librone” (forse un richiamo alla pellicola di cui lo stesso Leo è stato protagonista, “Ti ricordi di me?”), accomodato sul leggio centrale del palco e custode di testimonianze raccolte negli anni in attesa di poter essere restituite ad un pubblico partecipe ed interessato.
La citazione di una delle frasi celebri di Gabriel Garcia Marquez “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla” è lo spunto di partenza per un one-man show incentrato, appunto, sulle gradazioni policrome delle molteplici declinazioni della narrazione: l’aneddoto, la barzelletta, l’episodio estemporaneo, l’improvvisazione, l’articolo di giornale fino ad arrivare persino alla perizia assicurativa di un sinistro.In questo contesto, in questo spettacolo in cui si ride molto, l’autore condivide con gli spettatori piccole riflessioni di vita quotidiana, che scandaglia e studia facendone oggetto di una sorta di “analisi logica”.
Riguardiamo mai i video che abbiamo girato spinti dall’impellente bisogno di non catturare qualche spezzone della nostra esistenza? In realtà, quello che accade, è che quanto ci sembra vitale, essenziale, se non addirittura irrinunciabile, finisce nel dimenticatoio nell’arco di un amen.
Ci siamo mai accorti che la risata è l’unica forma di linguaggio universale, la sola che non è frutto di una convenzione, ma nata e cresciuta in totale spontaneità?
E chi è l’inventore della barzelletta, quella bizzarra storiella che ci spinge a derogare a tutte le regole di condotta, sospendendo ogni forma di giudizio conosciuto e sperimentato?
Fra aforismi tratti da grandi della letteratura, qualche indicazione sulla ricerca costante dell’equilibrio sulla tecnica di un’esposizione efficace, piccole interazioni con la sala, Edoardo Leo si muove con grande disinvoltura, mettendo in luce un raffinato temperamento artistico. Vincente è la sua scelta di instaurare un rapporto lineare con la platea, livellando le posizioni, ammettendo i primi fallimenti, i piccoli imbrogli per creare un curriculum vitae degno di essere notato.
Palleggia le battute con scioltezza, è il fantasista che ammalia, ma ciò che sorprende di più di questo attore-autore-regista è la capacità di essere spalla di se stesso, dell’Edoardo protagonista.
Il racconto si ciba di verità, e quando in quando, di semi verità. Altre volte è ingigantito, altre ancora è palesemente falso. Ma tutto questo non importa, ciò che rileva è l’effetto catartico che la storia svela, la risultante di un potere illusionista che seduce pur mantenendo salda la barra del timone che guida nel viaggio del nostro Paese, con vizi, pregi e difetti.
Una cosa è certa, però, il narratore è sempre sincero perché il suo obiettivo non è ristabilire l’ordine delle cose, bensì suscitare ilarità, parlare di un sentimento, tramettere un’emozione.