Il mondo dello spettacolo tra resistenza e resilienza: intervista a Lucrezia Farinella
SPQR Daily indaga gli effetti devastanti della recente pandemia sulla società dando parola al mondo dello spettacolo: Lucrezia Farinella, celebre costumista romana, ci racconta com’è cambiato il modo di vivere la cultura negli ultimi mesi
SPQRdaily ha incontrato Lucrezia Farinella, costumista romana molto apprezzata, con la quale ha discusso degli effetti della recente crisi sanitaria sul mondo dello spettacolo. Creativa di pregio, Lucrezia, nel corso della sua lunga esperienza, ha lavorato sia con importanti compagnie teatrali che con reti nazionali quali La7, Sky e Mediaset. Lucrezia, da anni attiva nel mondo della cultura, ha voluto raccontare ai nostri microfoni com’è cambiata la sua vita personale e lavorativa in questo difficile periodo.
Grazie, innanzitutto, per aver accettato di partecipare a questa breve intervista.
Ci potrebbe raccontare brevemente quando e come è nata la passione per questa sua attività?
Sono sempre stata, fin da bambina, una grande appassionata di cinema e teatro. Mentre guardavo un film o uno spettacolo teatrale mi soffermavo sempre sui dettagli visivi: il colore o il movimento di una gonna, un oggetto di scena ricercato, l’armonia dell’insieme delle immagini, insomma, avevo fin da piccola una predisposizione a notare cose che solitamente passano inosservate. Crescendo ho deciso di studiare moda all’Istituto Europeo di Design (IED), dove ho avuto l’opportunità di uno scambio di studio all’estero con lo IED di Madrid. Nel semestre frequentato a Madrid, le lezioni erano incentrate sulla storia del costume, la realizzazione dei costumi per uno spettacolo teatrale, l’approfondimento di materiali nel corso delle epoche e le tecniche di invecchiamento, e lì è nato l’amore per il costume.
Il mondo dei costumi e, in generale, dello spettacolo, è stato purtroppo duramente colpito dalla recente crisi pandemica. Potrebbe dirci com’è cambiato il suo modo di lavorare all’interno di questa emergenza? Le è sembrato che il Governo abbia preso effettivamente a cuore le sorti del settore dello spettacolo?
Lo spettacolo, soprattutto per quanto riguarda il teatro, la musica e i live in generale, sono stati i primi a fermarsi e purtroppo, salvo una breve parentesi estiva, ancora sono fermi. Questa prolungata chiusura sta mettendo a dura prova un settore che già non godeva di ottima salute.
Per quanto mi riguarda mi ritengo fortunata rispetto a molti miei colleghi, poiché nonostante le compagnie teatrali con cui collaboro da anni sono state obbligate a fermarsi, ho proseguito la mia attività lavorativa in televisione, che non si è mai fermata. Abbiamo sicuramente dovuto prendere delle precauzioni: oltre ai noti dpp, abbiamo dovuto ridurre al minimo indispensabile la presenza, effettuiamo tutti un tampone a settimana per la nostra sicurezza e questo fa in modo che si riesca a tenere sotto controllo la situazione ed evitare eventuali contagi.
Anche le troupe cinematografiche, dopo uno stop iniziale hanno ripreso e, come in televisione, lavorano in sicurezza cercando di ridurre il più possibile le situazioni di pericolo e tenendo sotto controllo la situazione con i tamponi.
Mi chiedo allora perché la stessa cosa non sia possibile in teatro: sottoporre a tamponi la compagnia ogni settimana per controllare che non ci siano positivi, e magari al pubblico prima di entrare in sala, facendo pagare il tampone nel prezzo del biglietto. In questo modo si potrebbe riavviare un settore in sicurezza.
Bisogna tenere presente che quando si parla di settore dello spettacolo non si parla solo di attori e registi, ci sono tantissime persone che non si vedono ma che contribuiscono alla realizzazione di uno spettacolo: scenografi, costumisti, direttori della fotografia, musicisti, ballerini, cantanti, macchinisti, fonici, sarte, truccatori, parrucchieri, elettricisti, ecc.. Oltre all’indotto che è fermo o quasi: sartorie teatrali, scenotecniche, sale teatrali e cinematografiche e tutti i fornitori, con i loro dipendenti, che danno vita alla parte visiva e musicale di un prodotto sia esso cinematografico, televisivo o teatrale. Insomma, si parla di migliaia di persone che da quasi un anno stanno portando avanti le loro vite e le loro famiglie con enormi difficoltà.
Secondo il suo punto di vista, si potrà tornare ad una piena normalità o, dopo quest’anno così duro, qualcosa nel mondo dello spettacolo cambierà per sempre?
Questa è una domanda difficile, ma sicuramente la voglia di tornare alla normalità è grande e condivisa da tutti.
Sono sicura che quest’anno con le sue immense difficoltà ci lascerà in eredità qualcosa: magari un modo diverso di organizzare il lavoro e uno sguardo alle nuove tecnologie, che potrebbero far ampliare la fruizione di un prodotto artistico.
Spero che lasci la consapevolezza, per gli altri ma anche per noi stessi, che il nostro settore è formato da professionisti che lavorano, consapevolezza che dà nuova dignità a mestieri che prima, a volte, venivano considerati quasi un hobby ma che ora, forse, verranno visti come lavori.
Chi dice che di arte non si vive, dovrebbe parlare con una sarta che realizza un costume prezioso per uno spettacolo, con un pittore che dipinge un pannello di legno e lo trasforma in una colonna di marmo, con un restauratore che riporta a nuova vita un’opera… Se questi vengono considerati sognatori con mestieri dai quali non ci si può aspettare un guadagno, allora si dovrebbe parlare con un bigliettaio che resta a casa perché il teatro o il museo per cui lavora sono chiusi, con le maschere che non accompagnano più nessuno spettatore nei loro teatri, con gli uscieri, con gli amministratori delle compagnie o dei teatri, con i segretari negli uffici, tutte persone che nel sentire comune avevano un lavoro sicuro e senza velleità artistiche, una certezza che questo virus ha spazzato via!
Questo atteggiamento inconcepibile in un paese che detiene la maggior parte di opere d’arte al mondo e che ha prodotto nei secoli opere liriche, musicali, teatrali e cinematografiche famose in tutto il mondo, rappresentate in tutto il mondo, magari dopo questa crisi verrà rivisto, magari alla riapertura dei teatri ci si renderà conto di cosa ci è mancato.
Noi siamo un popolo che crea arte in tutto quello che fa, eppure cerchiamo di sminuire questa nostra peculiarità, declassando quei lavoratori deputati a creare il bello a semplici sognatori od hobbisti, e quest’idea si è radicata nel pensiero comune.
Spero che finalmente si capirà che lo spettacolo è un settore che crea il bello ma anche fatturato, che le persone che lo compongono sono lavoratori come gli altri, che chiudere i teatri causa un problema sociale tanto quanto chiudere una fabbrica!
Spero davvero che si possa arrivare a questa consapevolezza e spero anche che al più presto si possa tornare serenamente in un teatro o ad un concerto per riassaporare il fantastico gusto dell’arte!
Fonte Immagine: Redazione SPQRdaily