Un invito a camminare
Il movimento come riscoperta di sé stessi e del mondo
Il camminare è una pratica biologicamente fondante e fondamentale per l’essere umano.
Nella propria storia, questa specie, ha attraversato varie fasi di vagabondaggio e di ricerca per mezzo dei piedi. O meglio, prima attraverso l’uso di tutti e quattro gli arti, poi con l’evoluzione, con le gambe e i piedi. Non a caso c’è anche una specializzazione linguistica sugli arti che compongono il corpo umano, in quanto attribuiamo a questi delle funzioni differenti: le mani servono per afferrare e avere contatto con l’alterità, mentre il piedi e le gambe ci permettono di muoverci e prendere contatto con la terra.
L’essere umano si è evoluto nella forma che conosciamo oggi, anche grazie a questa pratica che ne determina le caratteristiche e le peculiarità. Noi non vedremmo e non avremmo questa conformazione fisica se non procedessimo su gambe e piedi in posizione eretta. Le nostre mani non sarebbero probabilmente strutturate in questo modo e, di conseguenza, non sarebbero quella partestrumento che ci determina in quanto esseri umani.
L’uso della mano ha portato allo sviluppo della tecnica fino ai “fasti” dell’epoca moderna e post-moderna, attraverso una specializzazione e una stanzializzazione progressiva e sempre più efficace. Anche il nostro modo di approcciarci alle nostre mani è cambiato, da qui la profonda e diffusa riflessione culturale che ne è nata attorno al XX secolo. Anche questa parte del corpo è ormai data per acquisita e quindi è passata alla storia, infatti il suo uso è dato per scontato e ormai viene dimenticato, le sue funzioni abbandonate. La capacità di modellare , la parte artigianale del nostro praticare il mondo, è andata o si sta perdendo.
La stessa sorte è toccata, durante la storia umana, ai piedi e al loro uso. L’uomo da animale nomade, si è progressivamente, per motivi ambientali e di progressiva crescita della consapevolezza del mondo, reso stanziale. Tale questione non ha però da subito negato il movimento attraverso gli arti inferiori, anzi lo esigeva. Solamente il progressivo cambiamento culturale portato dalla tecnicizzazione del mondo portato dalla rivoluzione industriale, ha condotto l’uomo ad una sorta di rifiuto del camminare nella sua abitualità.
La necessità del nostro tempo è quella di riscoprire il senso del camminare per impedire che l’uomo si de umanizzi. Camminare è un modo culturale che va riscoperto e puntualmente questa cosa sta avvenendo. L’uso dei piedi come mezzo di locomozione ci permette di riprendere, riscoprire quel senso perduto dello spazio come dimensione umana, quella dimensione fondamentale in cui l’uomo nasce in quanto animale vagabondo per il suo biologismo carente, in quanto animale curioso che un giorno si è alzato e ha guardato oltre la collina e attraverso la proiezione fisica nello spazio ha conosciuto la terra e il mondo , generando insediamenti e quindi luoghi, dando allo spazio un’interpretazione umana. Camminare dunque può essere una riappropriazione del sé e di ciò che ci circonda, nel suo senso più prossimo alla conoscenza, quindi non come dominio, ma come esplorazione ed estrinsecazione della nostra curiosità biologica.
Camminare è un gesto, un modo di vivere, un motivo culturale che ha le sue radici nella biologia e nell’ambiente; uno strumento che può diventare politico, filosofico e psicologico.
Camminare è la base di ciò che siamo e, nel momento della spersonalizzazione e della perdita completa del nostro esser-ci in un niente volgare, può essere una modalità di riappropriazione del sé, della propria storia e della propria cultura. Mettersi in cammino è sempre entrare nel mondo e scoprirne le pieghe. Il movimento lento è connaturato alla natura, la velocità è un elemento tecnico che sovverte e domina equilibri reimpostandoli.
Riscoprire le proprie radici per poter procedere, questo è ciò che il camminare ci indica. Re-imparare a muoversi, a deambulare, a scoprire lo spazio effettivo e i luoghi dalla posizione e alla velocità più consona all’uomo. Camminare è un gesto che significa la reintroduzione dell’io nella libertà, nella grande metamorfosi dei luoghi, nella grande molteplicità del mondo e della natura e, infine, la scoperta del nostro sé e dell’alterità nell’epoca che sembra aver dimenticato questa componente fondamentale del nostro esistere.
Articolo di Daniele Morali